La dottoressa Lucangeli, professoressa di Psicologia dello Sviluppo spiega il lato "costruttivo" dei momenti di difficoltà.
"Il messaggio è forte e chiaro…
Dottoressa Lucangeli: perché tutto quello che stiamo vivendo non è un male per noi e per la scuola?
"In questo periodo mi capita spesso di sentirmi dire “prof non ne posso più, non so come fare per resistere, mi sento saturo”, come quando un corpo gassoso riempie così tanto un ambiente da non lasciare spazio per altro: sogni, progetti, slanci. Non è semplice stanchezza o affaticamento. E’ qualcosa di diverso.
Ma non è un male",
dice Daniela Lucangeli, Protettrice dell'Università degli Studi di Padova, professoressa di Psicologia dello sviluppo, che da tanti anni si occupa di bimbi con vulnerabilità, con disturbi dell’apprendimento e del neurosviluppo.
Scusi, in che senso non è un male?
"Quello che stiamo sperimentando a livello cognitivo, emozionale, affettivo, (comprese le limitazioni, le paure, le frustrazioni e le preoccupazioni), se da un lato ci sfinisce, dall’altro ci costringe a modificarci, perché ci spinge a ricercare ciò che ci fa stare bene, e che ci dà pienezza.
Per qualcuno potrà essere la mancanza della sabbia sotto i piedi, il rumore della neve.
Per altri la voce di un amico, la carezza di un famigliare, l’ampliamento dei confini, il ritorno alle routine".
A volte però il malessere ci soffoca
"E’evidente che da soli non stiamo bene, non ci bastiamo.
Ma il malessere non ci soffocherà se ci ricordiamo una cosa: noi non siamo abitati dalla mente, dalle angosce, dalle paure, dalle stress; ma angoscia, stress e gioia sono antichi linguaggi neurofisiologici della nostra specie che ci indicano cosa ci fa bene e cosa ci duole.
Nell’evoluzione della nostra specie, le emozioni di malessere sono il segnale più esplicito di avvertimento del nostro cervello senziente, ci dicono: “cambia strada”.
Cosa c’entra con la pandemia da Covid-19?
"Ciò che stiamo sperimentando viene fuori non per rimproverarci, né per giudicarci, ma per spingerci ad entrare in connessione con ciò che abbiamo nascosto a noi stessi e provare a modificare la nostra vita.
Ecco la più grande occasione di questo momento".
Secondo lei, oggi come stiamo?
"In questo periodo ho visto coppie disgregarsi e famiglie allontanarsi perché l’essere confinate ha fatto sì che emergesse ciò che avevano tenuto dentro. Se la famiglia aveva nascosto a se stessa tensioni, rabbie irrisolte, incapacità comunicative, queste sono venute fuori come nella tempesta. Ho osservato anche il contrario: legami sfilacciati che si sono riannodati".
Per gli adulti non è sempre semplice
"E nemmeno per i bambini. Ho visto figli che hanno trovato nei fratelli motivo di gioco, bimbi che hanno trovato nella mamma e nel padre l’attaccamento che era stato delegato ad altro, alla scuola, alla musica, al parco giochi, allo sport.
Certo non è facile per loro muoversi ora in questa specie di confinamento sempre più privo di amici, compagni, cugini".
Con il perdurare della didattica a distanza e della limitazione della socialità, i bambini, i ragazzi, come stanno?
"Non ne posso più di sentire parlare di didattica a distanza.
Vorrei si parlasse di Didattica di vicinanza, che non è fatta dalla tecnologia né tanto meno dalle migliori slides di PowerPoint. La didattica di vicinanza è fatta dai linguaggi antichi che il nostro cervello riconosce: l’ “I CARE” educativo, (il “mi stai a cuore” di don Milani), e non l’ingozzamento cognitivo di prestazioni che la memoria dovrebbe tenere come un frigorifero: metto dentro l’informazione che deve restare identica, congelata fino a verifica.
Ahimè così non si nutre l’intelligenza e tantomeno lo sviluppo migliore di nessuno".
Ci spieghi
"La didattica di vicinanza è questo viso che vi dice quanto io insegnante sono preoccupata di non potervi parlare; sono questi capelli che vi dicono che non ce la faccio più; è questa voce che vi parla di un mio amico per cui sono preoccupata oppure felice.
Quindi la vicinanza non la fa il mezzo, la vicinanza la fa l’io.
Per questo insisto nel dire che è molto importante che gli adulti che affiancano i bambini siano ben consci dell’enorme potere che è nelle loro mani".
In cosa consiste questo potere?
"Gli insegnanti hanno un’influenza enorme che non si esaurisce nella trasmissione di nozioni o insegnamenti ma che impatta sulla maturazione dell’individualità dei loro alunni.
Nel mio ultimo libro, “a Mente Accesa” (Mondadori) racconto che la scienza contemporanea ci insegna che ciò che leggiamo o ascoltiamo, i sapori che gustiamo, le strade che percorriamo, le persone che incontriamo, le emozioni che ci attraversano, tutto interferisce con il nostro epigenoma, inducendo trasformazioni nel funzionamento del nostro cervello.
Non è romanticismo, ma scienza.
Quando un insegnante supporta un bambino, induce una trasformazione nel suo connettoma, nelle sue reti neuronali".
Cosa significa?
"Se un insegnante ci fa sorridere, nella nostra memoria si imprimerà questa informazione: "ti fa bene, cercalo ancora".
Se, invece, mentre studiamo sperimentiamo ansia, stress, paura, noia, la nostra memoria immagazzinerà questa informazione: "ti duole, scappa".
E il mattino dopo, quando il professore ci interrogherà, ci ritroveremo a fare i conti con quelle emozioni".
In pratica, le emozioni sono il più grande motore della nostra vita
"Esattamente. Ma soprattutto, e questo è importante che gli insegnanti lo tengano a mente, noi non siamo scissi nelle nostre componenti mentali, ma flussi di informazioni profonde: emozioni e apprendimento sono collegati nella vita psichica.
Amigdala e ippocampo lavorano in sinergia, il sentire e il capire si influenzano a vicenda".
A proposito di scuola, cosa ci sta insegnando questa pandemia?
"La scuola non è solo lo spazio che sviluppa un sapere cognitivo, ma anche quello emozionale.
Con il team di ricerca che coordino, Mind 4 Children , abbiamo verificato che oggi le studentesse e gli studenti stanno sperimentando consapevolezze nuove:
“ho voglia del mio compagno di banco”, “ho voglia della mia classe”, “Il mio professore/ la mia maestra è importante per me”.
Ci terrei tanto che tutti gli insegnanti si rendessero conto che nel mondo scolastico è in corso una rivoluzione".
Quale rivoluzione?
"Si è ristabilita, in maniera direi imprevedibile, un’alleanza con l’adulto di cui avevamo assolutamente necessità. Perché è come se in questo momento, così critico e anche di preoccupazione e di paura (per i bambini del nido, come per gli universitari), ci fosse proprio bisogno di questi adulti significativi.
Immaginate che effetto può avere una lezione che inizia con maestre e professori che rompono il silenzio e dicono:
“Sono con te oggi, e siamo insieme anche a sfidare il quadrato della somma di due monomi”.
Articolo di Sabina Pignataro
Tratto da www.repubblica.it